Le opere realizzate tra la metà del Cinquecento ed il Seicento, conservate dal Museo d’Arte della città di Ravenna e qui rappresentativamente esposte, sono la testimonianza dell’intenso rapporto culturale, politico ed economico che ha caratterizzato – in quegli anni – l’area emiliano-romagnola, quella veneta e quella toscana, senza escludere, come si evince dal carattere devozionale delle opere stesse, l’estesa influenza dello Stato Pontificio. Così, le opere che si espongono, provenienti dalle collezioni formatesi in virtù della soppressione delle corporazioni religiose e arricchite da numerose donazioni, lasciti, depositi e dalle straordinarie intuizioni artistiche di ravennati come Enrico Pazzi e Corrado Ricci che affidarono all’Accademia di Belle Arti di Ravenna e alla Pinacoteca Comunale – dante causa dell’odierno Museo – il frutto delle loro pazienti ed attente acquisizioni di beni archeologici, artistici, archivistici e di intere biblioteche, offrono un interessante spaccato della pluralità dei riferimenti culturali di questo periodo. Il percorso espositivo prende avvio con le opere Adorazione dei pastori con i Santi Girolamo e Bonaventura e Crocifissione con i Santi Antonio Abate e Francesco di Francesco Zaganelli da Cotignola, autore, considerato da Giorgio Vasari nel Cinquecento, in grado di subentrare all’egemonia artistica dell’appena scomparso Nicolò Rondinelli. Testimonianze della pittura veneta, invece, sono il Cristo Redentore di Paris Bordon, artista che lavora insieme a Tiziano; Il cenacolo con Sant’Apollinare e il beato Lorenzo Giustiniani di Matteo Ingoli proveniente dalla chiesa veneziana di Sant’Aponal; il San Benedetto da Norcia (?) di Filippo da Verona; l’Annunciazione e Sant’Apollinare, dittico di autore ignoto. Il percorso continua, quasi in un dialogo artistico con la pittura veneta, ancora testimoniata dal Martirio dei quattro Santi Coronati, grande pala d’altare di Jacopo Ligozzi, pittore veronese ma toscano d’adozione, che per oltre vent’anni lavora alla corte medicea, con il Martirio dei santi Giacomo Minore e Filippo di Camillo Procaccini che apre alla pittura bolognese, insieme al San Girolamo e al San Sebastiano di ambito reniano e alla Maddalena in meditazione di ambito emiliano. L’Allegoria dell’Abbondanza, attribuita al Maestro di Flora, e l’Apollo e Dafne, capolavoro barocco di Cecco Bravo, costituiscono due elementi di unicità per la qualità della rappresentazione pittorica profana.
Nell’ultima sala è stato ricomposto il gruppo delle grandi pale provenienti dalla Chiesa di San Romualdo del Monastero di Classe; in posizione centrale è la pala d’altare maggiore del Guercino con San Romualdo accompagnato dal San Benedetto di Carlo Cignani e dai Santi Bartolomeo e Severo in gloria di Marcantonio Franceschini. In riferimento alla pittura del Guercino è Il San Giovanni Evangelista di Alessandro Tiarini che, all’atto della consegna presso il museo, fu considerato opera dell’autore del San Romualdo. Il percorso si chiude con la Crocifissione con i Santi Vitale e Apollinare di Arcangelo Resani, un’opera che, pur mantenendo ancora legami con i modelli figurativi bolognesi e veneti del Seicento, volge lo sguardo al Settecento.